Sandra Vukelic parla di sè e parla della sua pittura che
descrive, semplificando, come pittura surrealista.
Le etichettature sono sempre strette e non definiscono mai la
singola realtà; è vero, si può parlare di surrealismo perché la prima tela, che
per prima vedo, mi colpisce con un affollarsi di vigorosi tetti rossi emergenti da una nebbia che attanaglia
le case e dalle quali ripartono scale a pioli che si allungano ad un cielo che
certamente sarà raggiunto. Potrebbe essere lo sfondo perfetto per un racconto
di L. Carrol oppure di G. Rodari, quello delle “Favole al Telefono”.
Altre opere
affollano un mondo che non smentisce la prima visione ma che registrano uno
sguardo ironico e divertito tra teiere sospese a fili come marionette e da cui
sporge, come un balconcino, una tazza oppure un occhio che da una piega ti
scruta attendendo il secondo atto
della scena.
La pittura è
semplice, senza preziosismi formali; il divertimento è già pieno e compiuto
nell’atto della invenzione e nella
trasformazione degli oggetti della quotidianità in altro fantastico. Ho detto di divertimento applicando il
senso etimologico della parola che proviene da “de vertere”, ovvero cambiare direzione o mutare uso o fruizione
che è un atteggiamento specifico del surrealismo. Occorre anche dire, per
meglio precisare l’àmbito di lettura di queste tele, che l’artista non si è
fatta travolgere da una “naiveté” che elimina la complessità e che semplifica
il dipingere con la falsa
ingenuità.
A queste sue esclusive strade di fantastico domestico si indirizza il gioco serissimo di Sandra Vukelic che ha
guardato certamente a Pieter Bruegel o al Trittico delle Delizie di Hieronymus
Bosch, dalla pittura dei quali
però ha lasciato cadere lo sguardo
violento e truculento per una visione affettuosa del mondo dove con vecchi
libri si costruisce la casa delle fantasie, dove un vecchio tronco di legno si trasforma in una tana
accogliente, dove le casette messe in fila con il tetto a forma di cappello da
fatina formano un bosco gioioso più che un assembramento urbano.
Le figure sono rare: un vecchietto che cammina di spalle e qualche abbondante nudino femminile non irrompono nella
scena ma ne sono solo partecipi o forse solo spettatori; lasciano il centro del quadro alle case ora nate
da un libro, ora da una barca nel bosco, ora da questi giocattoli che
costituiscono il mondo pittorico di Sandra dove le persiane della finestra sono
fermate da una matita che le
traversa a monito e memoria dell’artificio del disegno e della pittura.
Piacenza, 24 maggio 2011-05 Bruno
Missieri